Articoli

  • Home
  • Articoli
  • Navi radioattive negli abissi italiani e africani
About Images

Navi radioattive negli abissi italiani e africani

Potrebbero essere addirittura 180, le navi con scorie radioattive affondate in tutto il Mediterraneo e nel Corno d'Africa.

 

Potrebbero essere addirittura 180, le navi con scorie radioattive affondate in tutto il Mediterraneo e nel Corno d'Africa.

È recente la scoperta, seguendo alcuni servizi del quotidiano “La Repubblica”, che ci sono altre fonti di inquinamento, oltre a quelle già note, come le emissioni di anidride carbonica, la diossina, l’energia prodotta da carbon fossile ed altre ancora, costituite da scorie radioattive contenute in bidoni e container che si trovano su navi, le quali - avendo finito il loro servizio attivo nei mari - vengono inabissate nei fondali del Mediterraneo e negli oceani; non solo, ma anche scaricate direttamente in mare da navi i cui proprietari si prestano a questo nuovo tipo di attività criminale perché lautamente retribuiti.

Altri sospetti su questi traffici riguardavano movimenti di navi clandestine che secondo l’ufficiale della marina militare Natale De Grazia, che indagava sul movimento di queste imbarcazioni che trasportavano rifiuti tossici e nocivi, partivano dai porti del Nord Italia (La Spezia e Livorno) per quelli del Sud. Senonchè il De Grazia, in viaggio verso La Spezia, la sera del 12 dicembre 1995 è colpito da infarto e muore portando con sé la mappa dei siti dei posti di partenza e di arrivo di questi carichi altamente inquinanti, ma lascia un appunto inedito da cui inizia la ricerca delle navi fantasma affondate non solo in Italia, ma in tutto il Mediterraneo e nel Corno d’Africa.

Secondo quell’appunto le navi inabissate sarebbero state 180. Una mappa comunque c’è, ed è quella sequestrata a tale Giorgio Comerio, che entrato in possesso del progetto, denominato Dodos, ideato a Ispra, presso gli impianti Euratom, che consiste nello stivare il materiale radioattivo nelle testate dei siluri da affondare in mare. Il Comerio capisce che il metodo, se sfruttato, può essere fonte di grandi guadagni, e così costituisce la società ODM, che acquista i diritti della nuova tecnologia. In questo contesto di indagini arriva la scoperta della prima nave con un carico radioattivo affondata nel mare al largo della costa calabra, grazie alla confessione del pentito Francesco Fonti.

La nave si chiama “Cunski” e da questa esce liquame radioattivo, perché i contenitori, dopo tanti anni, si sono rotti, come è stato accertato in un sopralluogo di tecnici esperti della materia. Il procuratore della Repubblica Bruno Giordano, cui è affidata l’inchiesta chiede al ministero dell’Ambiente i necessari fondi per le indagini di carattere tecnico e per effettuare la ricerca delle altre 29 navi, in quanto dalle indicazioni del pentito le navi affondate sarebbero almeno 30.

Il ministero dell’Ambiente ha risposto positivamente e sta cercando aziende che hanno tecnologie adeguate al tipo di ricerche che debbono essere fatte nel mare di Calabria. Il quadro che abbiamo tracciato è altamente preoccupante e allarmante. La prima considerazione da fare è che i protagonisti criminali di questi gravi misfatti, mandanti e criminali – esecutori, sono attratti da un traffico redditizio come pochi, perché per i mandanti i costi di mercato per smaltire residui tossici sono elevati, mentre farli smaltire dalla criminalità organizzata costa molto meno, e quest’ultima guadagna più del traffico di stupefacenti. La seconda è che queste bombe ecologiche inquinano in modo irreparabile i mari, che, una volta inquinati, debbono essere bonificati. Ma come? Il primo passo è quello di individuare i punti in cui le navi sono state affondate.

Le conseguenze sono catastrofiche e almeno di tre ordini: sul patrimonio ittico; sulla flora marina; sulla pericolosità del mare soprattutto nei punti in cui le navi avvelenate sono state affondate per la balneazione, e per l’alimentazione con prodotti ittici inquinati. Siamo in presenza di una forma di inquinamento particolarmente insidiosa per la salute del cittadino, che può manifestarsi in diversi modi.

Da quanto si sa non sembra che fino ad oggi ci sia stata alcuna iniziativa di prevenzione – repressione per salvare il pianeta terra da questa nuova forma di inquinamento, a meno che i mari non siano appannaggio della criminalità. Siccome così non è, è venuto il momento di legiferare in modo rigoroso e specifico anche su questa materia, e sulla base di una emananda legge istituire una “task force” per esercitare compiti di prevenzione di tali misfatti a tutela dei mari e delle coste, mettendo sotto sorveglianza tutti i porti e perquisendo ogni nave sospetta. Questo problema non riguarda solo il nostro paese, ma diversi altri anche di altri continenti, per cui il problema va portato all’attenzione dell’Onu e della Ue perché sensibilizzi le collettività nazionali interessate ed intervenga finanziariamente a sostegno di quei paesi che non hanno la capacità tecnologica e finanziaria per risolverlo

Divemania.it